Amatissimo o aspramente criticato. Fabio Viale è un artista che con il marmo ama giocare, sperimentare soluzioni estreme, riprodurre materiali fragili con uno dei minerali più duri al mondo e creare contrasti.

Far galleggiare il marmo sull’acqua, accartocciarlo come fosse carta, dare l’idea della morbidezza della gomma. E tatuarlo. Profanare la sacralità di un materiale antico, utilizzato per lo più per ritrarre, attraverso i secoli, divinità cristiane e pagane.

La maestria di Fabio Viale: riprodurre i classici

Sull’estrema duttilità di Fabio Viale nel lavorare il marmo, hanno già scritto molti altri prima di noi. Nelle sue mani il materiale sembra creta: l’artista lo manipola con estrema dimestichezza, con lavori che sembrano richiamare una facilità d’azione, sicuramente più nell’ideazione che nella realizzazione. Il risultato finale sembra dire che poco ci vuole a ottenere quelle opere spesso in grado di lasciare il grande pubblico a bocca aperta.

Solitamente Fabio Viale gioca con l’illusione: riproduce nel marmo l’effetto della carta, del polistirolo, del mais scoppiato. Non fa troppa meraviglia, quindi, constatare come le sue repliche dei grandi classici, basi sulle quali poi lavorare, siano così perfettamente aderenti alle opere originarie, così bel modellate, levigate, perfette riproduzioni di immagini tridimensionali senza tempo.

Fabio Viale il provocatore

Che a Viale, cuneese, classe 1975, piacesse provocare non è certo una novità. Uno che ha navigato il fiume Tevere a bordo di una barca di marmo, uno che ha fatto rotolare per le strade di Torino uno pneumatico marmoreo, citando nel nome il quadrato mistico del Sator, non è certo uomo prevedibile.

Il tatuaggio, però, è ormai divenuto sua cifra stilistica. Il numero di statue riprodotte e tatuate è ormai altissimo, e va crescendo sempre di più. Sono stati in molti ad additare questo corpus come una mistificazione, come un sacrilegio, come una soluzione furba. Invero, Viale ha qualcosa di molto importante da dire, scegliendo precisi stili di tatuaggio, di volta in volta.

Tatuare il marmo

Non si tratta mai di una semplice pittura su marmo. Fabio Viale ha escogitato un sistema che penetra nel marmo e realmente tatua le statue. L’inchiostro viene assorbito senza espandersi, così come avviene con la pelle nella tecnica del tatuaggio, letteralmente entra nel materiale e lì rimane, non è possibile cancellarlo con dei solventi.

Nella scelta del tatuaggio, Viale non è mai casuale. Tecnica antichissima e nata in seno a culture molto diverse, il tatuaggio è una forma espressiva che assume diversi stili e persino linguaggi.

La scelta di Viale non è mai puramente decorativa: l’artista sceglie segni e motivi tipici della mafia russa, della yakuza, della malavita americana e via dicendo. Non si trova uno stile anni Cinquanta, non ci si confonde con i tatuaggi maori.

Il contrasto si accentua se una Venere pudica ha la schiena ricoperta dei disegni che indicano un sicario giapponese, se busti e mani che tanta classicità ci ha abituato a considerare appartenenti a semidei e sovrani recano i simboli della mafia russa, se Laocoonte viene privato dei suoi figli e sulle sue carni viene ritratto un inferno dantesco.

È ancora una volta la provocazione, il contrasto estremo, a ispirare Fabio Viale. Anche tornandoci più e più volte, come nel caso della testa del David michelangiolesco. Staccata da quella apoteosi di bellezza maschile che da secoli rappresenta, quasi gettata a terra, ricoperta di insignificanti tatuaggi in stile Trap. I tempi della grandezza sono finiti: il giovane non vuole più combattere e vincere il gigante. Resta il nichilismo, nello sguardo vuoto, rivolto al niente.

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